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La ciclabilità? Un indicatore di qualità della vita.

di Raffaele Di Marcello

È appena stata pubblicata l’ultima edizione dell’indice universalmente riconosciuto per la qualità della vita, elaborato da Mercer, società di consulenza per diverse aziende. E, ancora una volta, in cima alla lista, ci sono molte città che amano le biciclette.

Valutare la vivibilità complessiva di una città non è un compito facile, poiché i fattori che contribuiscono a una “buona vita” sono così numerosi e così diversi.

Mercer è attualmente il principale fornitore di dati sulla qualità della vita per i dipendenti inviati a lavorare all’estero, e la sua classifica sulla qualità della vita è una preziosa (e apprezzata) pubblicazione. Il clima, la facilità di comunicazione e la lontananza fisica influenzano il successo di un incarico all’estero e le buone condizioni di mobilità sono sempre fondamentali per una vita di buona qualità.

Non sorprende constatare che la Top 10 delle città più vivibili al mondo presenta diversi membri della rete Città e regioni per ciclisti (CRfC) e ospiti di Velo-city. Chiaramente, il grado di ciclabilità fa la differenza quando si sceglie il posto migliore in cui vivere!

Di seguito l’elenco delle prime dieci città della classifica Mercer:

  • Vienna (AT), membro di CRfC e ospite dell’edizione di Velo-city del  2013
  • Zürich (CH)
  • Auckland (NZ)
  • Munich (DE), membro di CRfC
  • Vancouver (CA), ospite dell’edizione di Velo-city del 2012
  • Düsseldorf (DE)
  • Frankfurt (DE)
  • Geneva (CH)
  • Copenhagen (DK), membro di CRfC e ospite dell’edizione di Velo-city del 2010
  • Basel (CH), membro di CRfC

Questo dimostra chiaramente che le città che investono nella ciclabilità e fanno della mobilità attiva una priorità nella designazione dello spazio pubblico sono luoghi molto attraenti per vivere e lavorare a causa dell’alta qualità della vita che offrono.Nella classifica le uniche due città italiane sono Milano, al 42° posto, seguita da Roma al 57°, città dove siamo ancora lontani dai livelli di ciclabilità delle prime dieci.

Orrori ciclabili. Quando il progettista non sa quello che fa.

In questi anni si assiste ad un fiorire di iniziative per favorire la ciclabilità, dai provvedimenti legislativi – con relativi finanziamenti – alla realizzazione di piste ciclabili in ogni dove. E, come sempre accade, quando arrivano i soldi, nascono anche, come funghi dopo una pioggia di agosto, i pseudo-esperti.

Tecnici che, fino al giorno prima non sapevano neanche cosa fosse una bicicletta, si improvvisano esperti di mobilità ciclistica e di percorsi ciclabili, accaparrandosi anche incarichi ,con risultati, spesso disastrosi.

E così vediamo la pista ciclabile con abbinato il passaggio pedonale e lo stop, che costringe il povero ciclista a fermarsi, comunque, in prossimità di ogni attraversamento, oppure la segnaletica orizzontale di colore blu (giusto per distinguere il percorso), o ancora piste con curve a 90° o interrotte in prossimità di passi carrai e ancora con inizio nel nulla e fine nel niente.

Errori madornali dovuti anche ad una normativa carente e, spesso, inefficace. Ma le regole che esistono dovrebbero essere, quantomeno, applicate!!! Parliamo del Codice della Strada e del relativo Regolamento di Attuazione, ma soprattutto del Decreto Ministeriale N. 557 del 30/11/1999 che riporta il “Regolamento per la definizione delle caratteristiche tecniche delle piste ciclabili”, regolamento che definisce caratteristiche, dimensioni, pendenze e raggi di curvatura, delle piste ciclabili, piste che, va ricordato, fanno parte della confusa definizione di strada di categoria Fbis –  Itinerario ciclopedonale: strada locale, urbana, extraurbana o vicinale, destinata prevalentemente alla percorrenza pedonale e ciclabile e caratterizzata da una sicurezza intrinseca a tutela dell’utenza debole della strada.

Purtroppo, spesso, la pista ciclabile, è vista come un luogo dove il ciclista occasionale va a spasso, privandola della dignità di infrastruttura per la mobilità vera e propria, infrastruttura che va pianificata, e progettata, con tutti i crismi di legge e con la buona regola d’arte che dovrebbe essere patrimonio di ogni progettista.

Ma, si sa, l’esperto dell’ultima ora ne inventa una ogni momento, per potersi definire più bravo degli altri, e magari si vanta del fatto di uscire in bici, con gli amici, ogni domenica (e quindi di bicicletta ne capisce) e così vediamo nascere, sempre più, percorsi ciclabili dove il ciclista ha paura di avventurarsi, con utilità quasi nulla e, anzi, controproducenti per lo sviluppo della mobilità ciclistica, in quanto alimentano la sensazione di “inutilità” di tali opere.

Che fare? Forse occorre, da subito, all’interno delle università e degli Ordini Professionali, iniziare a formare i tecnici sulle buone pratiche, e sulle regole, della mobilità ciclistica. Perchè non è di esperti che abbiamo bisogno, ma di professionisti preparati.

 di Raffaele Di Marcello